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By Paul Ricoeur

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Alla fonte delle muse: Introduzione alla civiltà greca

Qual period il volto che i Greci davano alle Muse? Che cosa si intendeva in step with ispirazione poetica? Perché l. a. religione greca non aveva testi sacri? Che cos’era l. a. libertà consistent with los angeles democrazia antica? E soprattutto che senso ha, oggi, parlare ancora della civiltà greca? Nella maggior parte degli Atenei italiani l’insegnamento di Civiltà greca affianca ormai los angeles cattedra di Letteratura greca, con l’intento di rendere più accessibile un settore del sapere l. a. cui conoscenza, almeno nelle sue linee portanti, è ritenuta imprescindibile nella formazione di un operatore culturale.

Esportare la libertà: il mito che ha fallito

Da sempre i governi e gli stati coprono con altisonanti dichiarazioni i motivi spesso cinici che stanno alla base delle guerre da loro scatenate. Secondo Luciano Canfora, il proposito americano di esportare l. a. libertà in Iraq è solo l'ultimo esempio di questo oliatissimo meccanismo propagandistico. Sparta combatté l. a. guerra del Peloponneso sostenendo di voler liberare i Greci dall'oppressione ateniese; le guerre napoleoniche determinarono l. a. trasformazione della Francia rivoluzionaria in impero bonapartista; i conflitti regionali della Guerra Fredda (Vietnam, Medio Oriente, Afghanistan), furono sempre inseriti nel contesto di una lotta in keeping with l'affermazione della democrazia nel mondo.

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Ricœur, 2003, p. 210, nota 17). Affiancando l’arte del costruire a quella del raccontare, lo spazio al tempo, Ricœur ha dunque voluto istituire un parallelismo ritmato – anche per «chiarezza didattica» (P. Ricœur, 1996, vol. I, p. 68) – che, a partire dalla sponda narrativa, illustri il gesto del costruire entro la griglia del prefigurare, del configurare e del rifigurare. -F. Lyotard, 1988; J. Derrida, 1976; J. Derrida, 2008), che mette a sua volta sotto accusa la gerarchia metafisica tra parola e segno a favore della parola: pensiero logocentrico, che nega l’autonomia di significato dell’opera fin tanto che la parola non ne rende infine comprensibile il significato.

P. Ricœur, 1996, vol. I, p. 65). All’angoscia ontologica dell’abitare non può esserci, per Lyotard, risposta definitiva e, in questo, il progetto architettonico scopre la propria intima debolezza. Ricœur compie invece la scelta diametralmente opposta: quella, cioè, di riflettere nuovamente sull’atto e sulla progettualità architettonica, per ritrovare una plausibilità formale in senso narrativo. L’esordio di Ricœur alla Triennale di Milano non lascia dubbi: «È sempre motivo di soddisfazione per un autore scoprire un intero campo di investigazione in cui le sue analisi trovano un’applicazione inaspettata, anzi, più che un’applicazione, una proiezione che conferisce a tali analisi una portata capace di modificarne, come un effetto-boomerang, il primitivo significato.

Per un altro verso tutte le operazioni architettoniche sono «atti di un vivente già vivo»: il dimorare, l’arrestarsi, il fissarsi – comune ad ogni uomo, anche nomade –; il muoversi e il circolare, il fluidificare. Si «assiste così alla nascita simultanea del bisogno di architettura e del bisogno di urbanistica, essendo la casa e la città contemporanee nel costruire-abitare primordiale» (P. Ricœur, 1998a, p. 45). L’edificare e il mettere in rapporto si trovano già iscritti nell’abitare dell’uomo su questa Terra.

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