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By Giovanni Jervis

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Alla fonte delle muse: Introduzione alla civiltà greca

Qual period il volto che i Greci davano alle Muse? Che cosa si intendeva consistent with ispirazione poetica? Perché los angeles religione greca non aveva testi sacri? Che cos’era los angeles libertà in step with l. a. democrazia antica? E soprattutto che senso ha, oggi, parlare ancora della civiltà greca? Nella maggior parte degli Atenei italiani l’insegnamento di Civiltà greca affianca ormai los angeles cattedra di Letteratura greca, con l’intento di rendere più accessibile un settore del sapere l. a. cui conoscenza, almeno nelle sue linee portanti, è ritenuta imprescindibile nella formazione di un operatore culturale.

Esportare la libertà: il mito che ha fallito

Da sempre i governi e gli stati coprono con altisonanti dichiarazioni i motivi spesso cinici che stanno alla base delle guerre da loro scatenate. Secondo Luciano Canfora, il proposito americano di esportare l. a. libertà in Iraq è solo l'ultimo esempio di questo oliatissimo meccanismo propagandistico. Sparta combatté l. a. guerra del Peloponneso sostenendo di voler liberare i Greci dall'oppressione ateniese; le guerre napoleoniche determinarono los angeles trasformazione della Francia rivoluzionaria in impero bonapartista; i conflitti regionali della Guerra Fredda (Vietnam, Medio Oriente, Afghanistan), furono sempre inseriti nel contesto di una lotta in line with l'affermazione della democrazia nel mondo.

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Il relativista, dunque, ama aprire nuove possibilità, ama interrogare, obbiettare, ironizzare, e anche mascherare il proprio pensiero dietro i paradossi. Non si prende l'incarico di formulare una teoria coerente, e meno che mai sistematica. Non giudica e non si espone. La sua è una posizione «di debole responsabilità»'6. Ma proprio in questo è una posizione efficace. Ciò che caratterizza l'ideologia relativista è una sfiducia nell'idea di oggettività, ma questo atteggiamento conduce, intenzionalmente o meno, ad attribuire un ruolo eccessivo alla soggettività.

L'importante era che la prima mantenesse una qualche evidente superiorità: doveva necessariamente esistere un salto inequivocabile, uno scalino nettissimo — mai esaminato con attenzione, però, sempre dato per scontato — fra l'uomo e l'animale. Secondo alcuni si trattava ovviamente del linguaggio, secondo altri era altrettanto evidentemente «la coscienza» a fare la differenza (qualsiasi cosa ciò significasse), altri parlavano del senso di colpa, o dell'uso delle mani, o della fabbricazione di strumenti, o della trasmissione di informazioni apprese, e così via: ogni volta liquidando il problema con l'affermazione che la grande differenza fra uomo e scimpanzé (o altre specie) era lì, era una sola e stava sotto gli occhi di tutti.

In sintesi, attraverso una molteplicità di approcci il riformismo sociale esaltava l'ipotesi centrale del culturalismo: cioè che non vi fosse nulla di costante, e soprattutto nulla di rigido, nella mente delle persone. La cultura era tutto, la biologia non contava nulla, e ogni miglioramento delle attitudini diventava possibile con accorgimenti opportuni. Furono in particolare Ruth Benedict e Margaret Mead a insistere sulla modificabilità della natura umana, ma erano numerosi gli antropologi che ritenevano non si dovesse parlare di caratteristiche psicologiche in generale, cioè comuni a tutti gli individui.

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